Quando un figlio abbandona l’università o manifesta una profonda demotivazione verso il proprio percorso formativo, le famiglie vivono un momento di smarrimento autentico. Non si tratta semplicemente di una scelta scolastica: dietro quella porta che si chiude, i genitori percepiscono il rischio di un futuro compromesso, di opportunità che sfumano, di un’indipendenza economica che si allontana. Eppure, questo momento critico può trasformarsi in un’occasione straordinaria per ripensare il rapporto con i figli e accompagnarli davvero verso la propria realizzazione.
Oltre la delusione: comprendere le ragioni profonde
La prima reazione di molti genitori è quella di interpretare l’abbandono universitario come un fallimento personale o come il segnale di una mancanza di volontà. Secondo i dati nazionali sull’istruzione terziaria, una quota non trascurabile di studenti italiani non porta a termine il percorso universitario intrapreso: l’Italia si colloca tra i Paesi OCSE con percentuali di laureati inferiori alla media, con forti differenze per area geografica e contesto familiare. Le motivazioni che portano all’interruzione degli studi sono profondamente variegate e meritano un’analisi attenta: difficoltà economiche, scarso orientamento, problemi psicologici, divario tra aspettative e realtà del corso di studi.
I giovani adulti di oggi affrontano pressioni che le generazioni precedenti hanno conosciuto in forme diverse. L’ansia da prestazione amplificata dai confronti sociali, anche mediati dai social media, è stata collegata a livelli più elevati di stress e sintomi depressivi tra adolescenti e giovani adulti. L’incertezza di un mercato del lavoro in continua trasformazione è documentata dai rapporti su disoccupazione giovanile e precarietà in Italia, mentre numerosi studi segnalano la difficoltà dei giovani nel trovare un senso in percorsi formativi percepiti come poco collegati al mondo del lavoro. Non è semplicemente pigrizia: ricerche psicologiche descrivono come la procrastinazione accademica e il ritiro dagli studi siano spesso associati a ansia, sintomi depressivi e vissuti di bassa autoefficacia.
Il dialogo che costruisce ponti
Creare uno spazio di comunicazione autentica rappresenta una delle sfide più importanti. Questo non significa eliminare le preoccupazioni legittime sul futuro, ma modificare il modo in cui vengono espresse. Approcci comunicativi basati sull’ascolto empatico e sulle domande aperte sono considerati più efficaci nel favorire l’espressione del disagio negli adolescenti e nei giovani adulti rispetto alle domande giudicanti o inquisitorie.
Abbandonare le domande-interrogatorio
Le conversazioni che iniziano con “Cosa pensi di fare della tua vita?” o “Come credi di mantenerti?” attivano facilmente meccanismi difensivi. La letteratura sulla comunicazione genitore-figlio mostra che domande percepite come accusatorie incrementano la chiusura e la resistenza, mentre formulazioni che partono dallo stato emotivo facilitano l’apertura e la condivisione. Sostituire le domande-interrogatorio con aperture genuine come “Come ti senti rispetto a questa situazione?” oppure “Cosa vorresti che io capissi di questo momento?” permette di accedere a una dimensione più profonda del disagio.
Riconoscere la sofferenza nascosta
Dietro l’apparente disinteresse si nasconde frequentemente una sofferenza psicologica significativa. Studi sul rendimento e sull’engagement accademico in giovani adulti hanno mostrato una forte associazione tra demotivazione, sintomi d’ansia e difficoltà di identità. Ricerche sull’esaurimento emotivo evidenziano che il distacco dagli studi è correlato a sintomi ansiosi e depressivi e a una crisi rispetto al proprio ruolo e futuro. Altri lavori sullo sviluppo dell’identità in tarda adolescenza mostrano come i periodi di stallo formativo si intreccino spesso con fasi di intensa esplorazione e incertezza identitaria. Chiedere esplicitamente “Stai attraversando un momento difficile?” può aprire varchi inaspettati.
Ridefinire il concetto di successo
Le famiglie si trovano spesso intrappolate in una narrazione rigida del successo: laurea, carriera lineare, stabilità economica entro una certa età. La realtà contemporanea del lavoro, caratterizzata da precarietà, cambiamenti tecnologici rapidi e percorsi professionali non lineari, richiede invece una flessibilità mentale documentata anche dai rapporti europei sulla transizione scuola-lavoro.
Esistono percorsi professionali di valore che non passano necessariamente dall’università: la formazione tecnica specializzata, l’apprendistato qualificato, l’imprenditorialità digitale, le professioni creative. Secondo il Sistema Informativo Excelsior di Unioncamere e ANPAL, molte figure tecniche e professionali intermedie mostrano tassi di occupazione e di difficoltà di reperimento molto elevati, spesso superiori a quelli di alcuni corsi di laurea generalisti, in particolare nei settori meccatronico, ICT, tecnico-sanitario e dei servizi alle imprese.
Questo non significa rinunciare ad avere aspettative, ma piuttosto ampliarle: il vero obiettivo dovrebbe essere l’autonomia e la realizzazione personale, non la semplice conformità a un modello prestabilito. Anche le ricerche sul benessere soggettivo indicano che la soddisfazione di vita dipende più dalla qualità dell’inserimento lavorativo che dallo status formale del titolo di studio: autonomia, significato percepito e coerenza con i propri valori contano più del prestigio accademico.
Strategie concrete per sostenere senza soffocare
Stabilire un patto temporale
Invece di pressioni continue, può essere utile concordare un periodo definito di esplorazione: sei mesi o un anno durante i quali il giovane adulto può sperimentare alternative, con l’impegno di dedicarsi attivamente alla ricerca della propria direzione. Nella psicologia motivazionale, la definizione congiunta di obiettivi a tempo determinato riduce l’ansia da indefinitezza e migliora l’aderenza ai progetti.

Introdurre responsabilità graduali
L’autonomia si costruisce attraverso passaggi progressivi. Studi sul passaggio all’età adulta mostrano che l’assunzione graduale di responsabilità concrete è uno dei fattori chiave per lo sviluppo del senso di competenza e di autoefficacia nei giovani. Richiedere una partecipazione economica simbolica alle spese familiari, anche minima, o assegnare responsabilità concrete in casa contribuisce a sviluppare consapevolezza delle dinamiche del mondo reale.
Facilitare esperienze trasformative
Volontariato strutturato, esperienze lavorative all’estero, corsi brevi in ambiti nuovi: queste esperienze possono riaccendere motivazioni sopite. La letteratura sui programmi di mobilità internazionale e sulle esperienze di servizio indica che il distacco dal contesto abituale e l’esposizione a nuovi ruoli favoriscono l’esplorazione identitaria, l’autonomia e la chiarezza sugli obiettivi futuri. Il distacco dalla routine familiare può generare quella chiarezza mentale che il contesto abituale a volte ostacola.
Quando coinvolgere figure esterne
Riconoscere i propri limiti rappresenta un atto di saggezza genitoriale. Se la situazione si protrae oltre i dodici mesi senza alcun movimento, se emergono segnali di ritiro sociale grave come l’evitamento persistente dei contatti sociali e delle attività quotidiane, o se le dinamiche familiari diventano conflittuali in modo costante, il supporto di un professionista diventa necessario. Linee guida e raccomandazioni internazionali indicano che la presenza di sintomi persistenti di ansia, depressione o ritiro sociale merita una valutazione specialistica.
Orientatori professionali, coach specializzati in giovani adulti o psicologi possono offrire quella prospettiva neutra che all’interno delle mura domestiche risulta spesso impossibile. Non si tratta di delegare la responsabilità educativa, ma di integrare competenze specifiche. Gli interventi di counseling orientativo e di supporto psicologico hanno mostrato efficacia nel ridurre il rischio di abbandono e migliorare l’adattamento accademico e lavorativo.
Il ruolo prezioso dei nonni
In questa fase delicata, i nonni possono giocare un ruolo importante. Studi sulle relazioni intergenerazionali mostrano che la presenza di una figura adulta significativa diversa dai genitori può offrire sostegno emotivo, senso di continuità e una narrazione meno ansiosa delle difficoltà di vita. La distanza generazionale ed emotiva può permettere loro di comunicare con minore carica ansiogena, offrendo racconti di percorsi non lineari, di fallimenti trasformati in opportunità, di carriere costruite attraverso vie traverse.
I nonni possono anche fungere da mediatori nelle conversazioni più tese, riportando equilibrio quando le emozioni tra genitori e figli si surriscaldano. La loro esperienza di vita offre una prospettiva temporale che relativizza l’urgenza del momento presente, come evidenziato da ricerche sul ruolo dei nonni come ponte intergenerazionale in situazioni di stress familiare.
Proteggere il legame oltre la crisi
La paura più grande di molti genitori non riguarda solo il futuro professionale del figlio, ma il deterioramento irreversibile del rapporto. Nella ricerca sugli stili genitoriali, approcci fortemente controllanti e condizionanti sono associati a maggior conflittualità e minore qualità della relazione, mentre stili autorevoli, capaci di combinare calore e confini chiari, favoriscono un miglior adattamento psicologico dei figli. Una preoccupazione costante e comunicata in modo ansioso può effettivamente contribuire a irrigidire le dinamiche, fino a diventare una sorta di profezia che si auto-avvera sul piano relazionale.
Separare la persona dal problema rappresenta una competenza fondamentale: vostro figlio non è il suo abbandono universitario, non è la sua demotivazione. È una persona intera che sta attraversando una fase complessa. Le teorie centrate sulla persona sottolineano l’importanza di distinguere tra comportamenti problematici e valore intrinseco della persona, mantenendo un’accettazione incondizionata pur ponendo limiti e aspettative.
Continuare a coltivare momenti di condivisione non centrati sul tema futuro e lavoro preserva quello spazio relazionale che, nelle fasi successive, permetterà di ricostruire fiducia e dialogo. Anche semplici attività condivise, non finalizzate a risolvere il problema, contribuiscono a costruire resilienza familiare: studi sulla famiglia come fattore di protezione mostrano che routine positive e momenti di qualità in comune sono associati a un migliore adattamento dei giovani in periodi di transizione e crisi.
I percorsi di vita raramente seguono linee rette. I modelli di sviluppo contemporanei descrivono le biografie come sempre più non lineari, con pause, cambi di rotta e rientri in formazione nel corso dell’età adulta. Quella che oggi appare come una deviazione problematica potrebbe rivelarsi, con il tempo e il supporto adeguato, l’inizio di una traiettoria più autentica e soddisfacente. Il vostro compito non è tracciare la strada, ma rimanere presenti mentre vostro figlio trova la propria.
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