Quando passeggiamo tra gli scaffali del supermercato alla ricerca di un vasetto di pesto, raramente ci soffermiamo a leggere con attenzione cosa sia scritto esattamente sull’etichetta. Eppure, dietro quella che potrebbe sembrare una semplice differenza terminologica, si nasconde un mondo di informazioni cruciali sulla qualità e sulla composizione di ciò che portiamo in tavola. La denominazione di vendita non è un dettaglio burocratico: è la carta d’identità del prodotto, quella che dovrebbe raccontarci con precisione cosa stiamo acquistando. Secondo il Regolamento europeo 1169/2011, questa denominazione rappresenta una delle informazioni obbligatorie in etichetta e serve a identificare la natura reale dell’alimento.
Quando il nome racconta una storia diversa
Davanti a due vasetti apparentemente identici, le differenze possono essere sostanziali. Il primo riporta la dicitura pesto alla genovese, il secondo invece presenta la scritta preparazione a base di basilico o salsa al basilico. A prima vista potrebbero sembrare la stessa cosa, ma la realtà può essere profondamente diversa. La denominazione di vendita è regolamentata da normative specifiche che tutelano i consumatori, imponendo che il nome dell’alimento non induca in errore sulla natura, l’identità o la composizione del prodotto.
In Italia esistono denominazioni tradizionali e indicazioni geografiche protette che fissano ricette e ingredienti minimi per alcuni prodotti tipici, come il Pesto Genovese DOP per uso fresco, disciplinato dal relativo consorzio a tutela della ricetta tradizionale e del consumatore.
Cosa si nasconde dietro le parole generiche
Le denominazioni vaghe o generiche non sono casuali. Quando un produttore sceglie di chiamare il proprio prodotto preparazione a base di basilico invece di utilizzare una denominazione più specifica e tradizionale, sta comunicando implicitamente che quel prodotto non rientra in uno schema compositivo codificato o in una ricetta tutelata. Questo può tradursi in percentuali inferiori di basilico fresco rispetto a un pesto tradizionale, uso di oli diversi dall’olio extravergine di oliva, o impiego di ingredienti tecnologici come addensanti, correttori di acidità e aromi che permettono di contenere i costi o di prolungare la conservabilità .
La possibilità di modificare ricetta e ingredienti nel rispetto delle norme generali di sicurezza alimentare e di etichettatura è prevista dalla legislazione europea, purché la denominazione e l’elenco ingredienti non risultino fuorvianti. Un pesto alla genovese tipo tradizionale si caratterizza storicamente per una composizione piuttosto stabile, tramandata dalla cucina ligure. Gli ingredienti fondamentali includono basilico fresco in percentuale predominante, olio extravergine di oliva, formaggio stagionato grattugiato come Parmigiano Reggiano o Pecorino, pinoli, aglio e sale.
Quando la denominazione diventa più generica, questi ingredienti possono essere modificati in modo del tutto lecito. L’olio extravergine può essere sostituito in tutto o in parte da oli di semi come girasole o colza, come si riscontra comunemente nelle etichette di condimenti industriali al basilico venduti nella grande distribuzione. I pinoli possono essere sostituiti da altri frutti oleosi come anacardi o noci per motivi di costo o di disponibilità . Il basilico fresco può comparire in percentuali relativamente basse rispetto al totale, con integrazione di basilico liofilizzato o surgelato e aromi naturali per rinforzare il profilo sensoriale.
Come leggere l’etichetta senza farsi ingannare
La consapevolezza parte dalla capacità di analizzare criticamente ciò che leggiamo. La denominazione di vendita deve essere chiara e posizionata in modo visibile, solitamente nello stesso campo visivo del nome commerciale del prodotto. Se notate termini come condimento, salsa, crema o preparazione, è il momento di approfondire l’indagine. Questi termini non sono sinonimo automatico di scarsa qualità , ma segnalano che il prodotto non è presentato come pesto alla genovese in senso stretto e può discostarsi dalla ricetta tradizionale.

Subito dopo aver verificato la denominazione, spostate lo sguardo sull’elenco degli ingredienti. Per legge, gli ingredienti sono elencati in ordine decrescente di peso al momento dell’impiego nella ricetta. Questo significa che il primo ingrediente è quello presente in maggiore quantità . Se il basilico non compare tra i primi posti, state acquistando una salsa in cui il basilico non è l’elemento principale, anche se l’immagine o la comunicazione potrebbero suggerire il contrario.
Gli indizi nascosti nella lista ingredienti
La presenza di ingredienti come amidi modificati, fibre vegetali aggiunte, correttori di acidità come acido lattico o acido citrico, e aromi è tipica di molti condimenti industriali pronti. Questi ingredienti contribuiscono alla stabilità , alla consistenza e alla standardizzazione del sapore. Non sono di per sé pericolosi, ma segnalano un prodotto più tecnologico e meno vicino alla ricetta casalinga.
Quando un ingrediente è messo in particolare evidenza tramite immagini o parole in etichetta, come il basilico, la normativa europea richiede che ne sia indicata la percentuale. Alcuni produttori indicano in modo ben visibile la percentuale di basilico presente nel prodotto: è un segnale di trasparenza. Una percentuale del 30% di basilico non è di per sé buona o cattiva, ma va letta in relazione agli altri ingredienti come olio, formaggi, frutta secca e acqua. In un pesto tradizionale fresco, il basilico rappresenta una quota importante della parte vegetale, ma la presenza significativa di olio e formaggio fa sì che percentuali intorno al 25-40% siano plausibili per prodotti confezionati con ricetta ricca.
Il prezzo come indicatore indiretto
Il prezzo non è un parametro scientifico, ma può essere un indicatore indiretto della composizione. Ingredienti come basilico fresco di qualità , olio extravergine di oliva e pinoli hanno un costo di mercato decisamente superiore rispetto a oli di semi e frutta secca alternativa. Analisi comparative di mercato sui prodotti a base di basilico mostrano che i condimenti con olio extravergine come primo grasso e pinoli come unica frutta oleosa hanno mediamente un prezzo al chilogrammo più alto rispetto alle salse al basilico formulate con oli di semi e anacardi.
Le offerte promozionali molto aggressive interessano più spesso i prodotti con formulazioni meno costose, proprio perché le materie prime incidono meno sul prezzo finale e lasciano maggior margine di sconto commerciale. Questo è coerente con i dati di struttura dei costi delle industrie alimentari: nelle categorie salse e condimenti la voce materie prime varia in modo significativo a seconda della qualità e del tipo di grassi e frutta secca impiegati.
Le alternative per una spesa consapevole
Diventare consumatori informati non significa necessariamente spendere cifre astronomiche. Significa imparare a confrontare denominazioni e liste ingredienti, valutare il rapporto tra prezzo e ingredienti effettivi, e riconoscere quando un’offerta molto conveniente si accompagna a ricette con oli di semi e frutta secca alternativa al posto di pinoli e olio extravergine.
Leggere le etichette richiede pochi secondi in più durante la spesa, ma consente scelte più in linea con le proprie aspettative di qualità e con il proprio benessere complessivo. La prossima volta che vi troverete davanti allo scaffale del pesto, prendetevi un momento per osservare non solo il prezzo ribassato o la confezione accattivante, ma soprattutto la denominazione di vendita e la lista degli ingredienti. Quel vasetto potrebbe raccontare una storia molto diversa da quella che il packaging vuole comunicare. La tutela dei consumatori inizia dalla conoscenza, e la conoscenza inizia da una lettura attenta e critica di ciò che scegliamo di portare nelle nostre case e sulle nostre tavole.
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